pizzofalconews 12 APR 2015 – UN MESE DOPO – GIANALFONSO D’AVOSSA

Da: Annunziato Seminara

Data:12/04/2015 15:15 (GMT+01:00)

Oggetto: pizzofalconews 12 APR 2015 – UN MESE DOPO – GIANALFONSO D’AVOSSA

 pizzofalconews 12 APR 2015 –  UN MESE DOPO – GIANALFONSO  D’AVOSSA 

Lo scorso 12 marzo si sono svolti i funerali di Gianalfonso D’Avossa. Corso 1954.

Il suo curriculum è stato divulgato in tutti i nostri siti, anche dall’Associazione Nazionale.

La Cappella dell’Ospedale Militare del Celio era gremita di tutti i Generali della linea di comando dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, Gen. Claudio Graziano, in giù.

Non ho assistito al rito funebre perché “in servizio di Nostra propaganda” presso un liceo laziale, a Frosinone. La nostra rituale “Propaganda Fide”. Ma so che sono state celebrate esequie di grandissimo rilievo.

Non descrivo l’ apprezzamento e le lodi che sempre accompagnano le espressioni di cordoglio per persone di risonanza a tutti i livelli e che ovunque ho letto ed ho sentito.

Era esuberantissimo. I nostri “circoli” associativi lo hanno più volte citato. Proprio per tale sua attitudine oltrepassava “il Rubicone” con prorompente spavalderia. Tanto per dirla tutta: se fosse stato a Teano avrebbe apostrofato i baffoni del Re Vittorio II, l’Emanuele savoiardo, perché non ben curati, richiamando, “il” Maestà, al rispetto del lignaggio regale, non tanto quello dell’investitura e della “sembianza” quanto piuttosto quella dell’uniforme.

Certo, diranno i posteri di oggi, non sarebbe stato sul cavallo bianco dell’Uomo di Caprera. Certo, aggiungerei, perché non si sarebbe fermato a Teano.

E non si è MAI sottratto dal rivendicare e diffondere le proprie idee, senza MAI allontanarsi dalle proprie responsabilità.

Lo ricordo quando sfilai 55anni fa al mio primo giuramento nello Stadio Albricci, volgendo lo sguardo appena dopo la curva percorsa dalla mia Compagnia Cappelloni nel vedere il passo di corsa con cui trascinava felici i primi Ex Allievi che vedevo davanti alla Bandiera. Così molti anni successivi. Artigliere, correva sfidando il primato dei Fanti Piumati. Una vita sempre sul filo della sfida.

Poi ci siamo rivisti nel 1978, a Roma in circostanze Ex-Allievesche nella scuderia che gestivo sul piccolo altipiano di Tor di Quinto, località distaccata, ai margini del vialone omonimo assai noto ai romani. Lo frequentai saltuariamente con altri Ex Allievi fino a metà degli anni ‘80. Lo persi di vista per una decina d’anni, ma di tanto in tanto leggevo notizie di lui fra rotocalchi e voci di “radio fante”. Sempre emergente. Mai domo. Lo rincontrai poche volte, a Napoli, dal 2000 in poi.

Sempre gentilmente, ci confrontavamo sui temi associativi e patriottici anche su posizioni disgiunte, un paio di volte anche con fermezza, ognuno restava sulle proprie valutazioni, però SEMPRE nell’unica direzione dei valori di cui tanto si dice e si scrive.

Ho saputo molto tardi del suo stato di salute da un suo compagno di corso, Alberto Ficuciello. Cinque giorni prima del compimento del suo destino, il 10 marzo. Lo andai a trovare tutti i giorni. Non mi riconosceva. Solo una volta, voltando lo sguardo vivissimo ancora, fra tubi di plastica e respiro quasi-un-rantolo, mentre mi stringeva la mano facendo un accenno. E quasi una scintilla per farmi tornare in mente tantissime cose che è bene far sapere. Tempo verrà. Non ora, che per me è il tempo del raccoglimento.

Ero dietro al Cappellano Militare, alle 22,25 di quella sera, l’ultima. Chiamato pochi minuti prima da un suo ex sottoposto che mi vedeva assiduo in quelle ore. Avevo fatto a tempo a sentirlo ancora caldo.

Non c’era, sul tavolo della stanza, la bottiglia di champagne che, in quelle mie visite, ho saputo che aveva consegnato con l’insistenza puntigliosa che aveva, al Gen. Claudio Graziano, con l’impegno di andarla ad aprire nel suo Ufficio del nuovo prestigioso incarico di “Capo dei Capi”. Si fermò a lungo, molto a lungo mi è stato detto, il “Capo”, conversando con affabilità, quello di un CAPO che forse, anzi senz’altro, è al corrente molto più di noi delle vicende che gli hanno fatto conoscere Gianalfonso.

Questi pensieri mi assalgono oggi, nel vedere l’appunto di un mese fa sulla mia agenda.

Perché ritorna in mente la tragedia di un uomo solo davanti ai suoi ultimi minuti, quelli di una vita dalle stelle di altari e di stellette all’altare dell’ultimo respiro. Solo. Ed ero solo anch’io davanti a lui, accompagnato da qualche squillo di telefono dei suoi compagni del ’54, Alberto Ficuciello e Sandro Ferracuti. E mi lamentavo con loro che nessun uomo, per NESSUNA RAGIONE, merita di essere solo in quei minuti dell’addio. NESSUNO. Come ho ribadito a Peppino Catenacci annunciandogli la sua morte, dopo averlo comunicato al Segrenazionale Mimmo Orsini. E anche a Camillo Mariconda, amico di un altro Ex Allievo “giovane” che mi parlava di lui.

Tanto sento la necessità di scrivere. Perché NESSUNO ha il diritto di restare solo. In specie se timbrato nel Rosso Maniero, “chiunque di noi”, TUTTI NOI. Anche e soprattutto  se pensiamo che possa esserci chi sia non meritevole della nostra vicinanza.  Non è solo pìetas cristiana. E’ il Rosso Maniero. Perché sarebbe vano averlo respirato, ché tutto il resto, alla fine della fine, è noia.

In questo credo.

 

siminarion