pizzostory 16 maggio 2004. I NOSTRI CUBI. – 16 maggio 2021

Da: Annunziato Seminara
Data: 16 mag 2021 08:17
Oggetto: pizzostrory 16 maggio 2004. I NOSTRI CUBI.

pizzostory 16 maggio 2004. I NOSTRI CUBI.

Il 16 maggio 2004 è una data per me particolarmente  importante.
Erano appena 20 giorni che ero stato travolto dall’angoscia di sapere da Carlo Minchiotti della tragica scomparsa di Gennaro Niglio. Grande quell’  “uno di noi” che ricordiamo ogni anno. Come sui media-social qualche giorno fa.
Per me fu un dolore non convenevole, come quello che sempre ci accomuna, tutti, quando raccogliamo lo zaino di qualcuno.
Gennaro mi ha sempre espresso grandissimo affetto.
Conservo per me le sue numerose espressioni manifestate in privato.
Ma non sapevo perché fosse così forte .
Eppure con lui, e con voi, tutti, a scanso equivoci “CON VOI TUTTI”,………!, ho avuto lo stesso atteggiamento. Sempre.
Lo ricordo ancora oggi, come quel 26 aprile 2004, rigido sull’attenti la sera del 5 giugno del 2003, quasi un anno prima a Piazza di Siena, al Comando dei Battaglioni della Fedelissima che celebravano quel decreto che nel 1920 concesse alla Bandiera dell’Arma la prima Medaglia d’Oro al Valor Militare per il comportamento tenuto dai Carabinieri nel corso della 1^ Guerra Mondiale.
Non potei abbracciarlo dopo i fasti di quella sera, fra luci, squilli di tromba, inni e discorsi. E fiande al vento di quella carica di cavalli, anch’essi benemeriti!
Ancor più Gennaro era stato, ED E’, ancora oggi nel mio cuore. Ma oltre al Cappellonaggio che ci accomuna. Ché da quando seppi del suo gesto spontaneo e fulmineo, naturale e senza fronzoli, di quel Capitano dell’Arma che, mentre si celebrava un processo nei confronti di alcuni ‘ndranghetosi, avvertiti i dirompenti sussulti del terreno terremotante che facevano vibrare minacciosamente le mura portanti di un antico edificio calabrese del Tribunale, se ci fu un parapiglia generale che svuotò l’Aula di Magistrati, di panza e sottopanza, Cancellieri, Avvocati, Avvocati-legulei e pubblico non curioso ma connivente e convivente con i seduti imputati, saltò una transenna a guisa di chi vende acque benefattrici con una mano sulla barriera ma l’altra chiusa decisamente sulla pistola d’ordinanza, e, rivolgendosi agli imputati sugli scranni agitati per approfittare della confusione e poi prendere la via d’uscita, intimò loro di rispettare le sedute rigide dei legni con i morbidi cuscinetti-glutei. Culi colpevoli.
Prontezza?, Mmmmmm…..!, quell’ insegnamento delle “rossastre mura di Pizzofalcone”. !
Il giorno dopo, 27 aprile, informai la Sezione Lazio che sarebbe stata “cosa sacra e giusta” celebrare un suo ricordo. Chiesa dei Santi Apostoli Napoletani, che divenne dal 18 novembre 2003, con l’altro evento dell’ “Antica Babilonia” di Nassiriya, la Nostra Chiesa Romana di Via Giulia.
Informai telefonicamente il suo compagno di corso Antonio Verdicchio che sarebbe stato il designato Alfiere del Labaro.
“Scorta” sarebbe stata assicurata da Pier Paolo Pona, non perché rappresentante del Consiglio Direttivo della Sezione Lazio, neanche perché altro Carabiniere.
Ma perché Cappellone sia di Gennaro sia di Antonio. Il corso 1963 e i loro Cappelloni del 1965 sarebbero stati la cornice “deputata” davanti al berretto di Generale dei Carrubas.
Con loro, il “gruppo Labaro” si completava con Vincenzo Pesce, testimone di tutti gli Allievi.
Gennaro non ha bisogno di una Storia da rinnovare. Tanto più rinverdita ogni anno per quella devastante notte siciliana nell’incidente stradale.
Alcuni anni dopo cercai Antonio perché volevo avere copie di alcune cartoline che aveva disegnato, mano felicissima!, per poterle ubblicare. Me ne aveva fatto dono e non le trovavo. Non lo sentivo da parecchio.
Però la moglie mi parlò del suo zaino. Mi parlò molto della Nostra Nunziatella. Mi confidò mestamente, addirittura sommessamente, che aveva avvertito il silenzio di non aver avuto risposta alla triste comunicazione espressa trasmessa alla Nunziatella.

Come, non lo sa?, non l’ha saputo?“. Quanto mi bruciano quelle parole!
Ancora mi sento in colpa per non averlo saputo. Già, quel silenzio che ancora non accetto.
Silenzio con “disincanto”, parola che rubo per non dirvi quale fu il mio pensiero.
Pensiero represso e non espresso alla moglie mentre con mestizia le manifestavo la mia partecipazione.
Eppure, negli edifici di Via Marsala, ce n’erano di Ex Allievi. Forse sì, “disincantati” e silenti!
Oppure distratti come quando assistiamo a eventi che non ci riguardano.
Come quei sacrestani “di scorta”, che preparano le vesta delle liturgie agli officianti “ministri” del Dio degli Eserciti per le cerimonie rituali. Perché rituali sono anche fra di noi quelle che ci parlano di altri “zaini a terra”.
Non li conosciamo quegli zaini. Quando invece sono gli stessi che ci parlano di noi stessi.
Anch’io non faccio a tempo a rispondere a quei “like” o “R.I.P.” che subissano i “social”.
Ogni volta penso che quelle notizie ferali trattano  chi ho conosciuto, chi ha vissuto con me, e con lo stesso zaino che mi porto dietro. Non so come scusarmi se sembro assente. Tra l’altro da un paio d’anni i “like” e i “R.I.P.” si accavallano ripetutamente. Spesso diffusi quasi distrattamente.
Anzi no, ché qualche zaino sembra più uguale di altri.
Però per me sono uguali, allo stesso livello. Non ho, e non credo che occorra recitare ” ‘a Livella” del Principe de Curtis.

Oggi, 16 maggio, sono per noi eguali gli zaini di Gennaro e di Antonio. Compagni di corso.
Compagni del mio corso. Compagni di corso di altri corsi. Tutti quei 234 fino ad oggi.
Delle stesse “caste” del ‘700 napoletano che la nostra Storia ci tramanda.
Delle nobiltà “generose“, quelle del monarca, ovvero di “privilegio, quelle degne del monarca, oppure “legali” e “civilmente decorose“, ritenute “onorate e dabbene“, sempre dal monarca. Lo stesso protempore.
Vorrei oggi demolire le sacrestie fra di noi. Che le liturgie fossero celebrate alla luce del sole e non dei riflettori orientati e mirati dal monarca.
Vorrei che tutti fossimo Re di noi stessi, e che il nostro zaino fosse protetto con le stesse fibbie, e che avesse lo stesso colore, e così fossero uguali, come sono stati e come sono i nostri armadietti, le nostre cassette d’ordinanza, gli stessi cubi.
Non gli stessi culi per quel monarca.

siminarion