AMARCORD…LA DOCCIA – di Renato Benintendi 1973/76

Da: Renato Benintendi
Data:28/08/2015 11:20 (GMT+01:00)
Oggetto: AMARCORD…LA DOCCIA

​​​Poveri ma belli…LA DOCCIA

Lo giuro…se chiudo gli occhi mi sembra di sentire ancora come un suono di nacchere il ritmico incedere della pantofole testa di moro superscivolose, ufficialmente un attentato all’ integrita’ della colonna vertebrale e del fondo schiena. La doccia, questo evento piu’ coreografico che sanitario, avveniva con turnazione regolare due volte alla settimana e non ha mai sortito l’ effetto di migliorare le condizioni igieniche delle compagnie. Esso era una sorta di immersione nel Gange della scuola, una pratica essenica trasferita dalle rive del Giordano a quelle del Sebeto. Quando il neofita, salvatosi dalla regolare caduta nelle scalette piccole, svoltava a sinistra lungo le scale che menano agli alloggi ufficiali, comprendeva di aver varcato le colonne d’ Ercole. Dubbioso sull’ esito di quel percorso, si domandava se fosse diretto a Dachau o Auschwitz, ma la comparsa del famiglio delle docce e di Trudy, l’ addetta alla lavanderia, fugava ogni dubbio: si trattava senza dubbio della palude Stigia, visto che Caronte era li’ ad aspettarli e la sibilla li aveva guardati con occhi ambigui. Il comparto docce era una perfetta rappresentazione della cantieristica italiana formato Salerno-Reggio Calabria o ospedale del profondo sud mai terminato. Il novizio, ormai votato al sacrifico estremo, si denudava senza esitare, ignorando che a dispetto della stagione invernale e della assoluta atarassia di Caronte, l’ acqua sarebbe stata sommninistrata solo dopo mezz’ora, previo annuncio in un incomprensiobile vernacolo da parte del famiglio-termostato. In quell’ occasione molti allievi decisero che si serebbero iscritti a ingegneria idraulica, alllo scopo di regolarizzare la temperature delle docce della Scuola, che oscillarono con andamento irregolare per anni tra il punto triplo (circa quattro gradi centigradi sullo zerro) e il punto di ebollizione normale. Nessun sistema termostatico infatti presiedeva alla sua regolarizzazione: il sistema di controllo era quello originariamente concepito dal Parisi nel 1787. Il famiglio-idraulico chiedeva con voce tenorale se la temperatura fosse adeguata e interpretava in maniera originale le urla dalla savana che gli pervenivano dalla compagnia in abluzione, la quale arricchiva il responso tecnico con coloriti giudizi a carico della mamma. Il famiglio infine comprendeva la recensione resa dagli allievi a carico della genitrice e procedeva con feroci vendette termostatiche. Quella consuetudine suggeri’ agli allievi in immersione la possibilita’ di vendicarsi del compagno inviso o semplicemente vessato, identificato con il termine grammaticale “O’ sugge’”, fornendo al famiglio-termostato indicazioni errate sulla temperatura della acqua. Terminata questa singolare pratica idraulica, i pochi sopravvissuti ri-indossavano la SUDATISSIMA tuta ginnica da cui si liberavano colonie di batteri che popolavano immediatamente il corpo dell’ allievo. Questi non si poneva considerazioni di tipo microbiologico, intento com’era a non scivolare nel difficile hula-op sulle pantofole bagnate. Uno sguardo piu’ in la’ verso il Chiatamone gli rivelava che, oltre i finestroni delle docce, percorrendo le scale, un giorno avrebbe potuto fuggire. Nasceva in lui la suggestione dello squaglio che avrebbe concepito durante le future frequentazioni delle rive del Gange di Pizzofalcone. (Nella foto i lavabi della Scuola – 1913)

AMARCORD…LA DOCCIA