Categoria: Uno di Noi si racconta

Cari Ex Allievi
Anche se non nei minimi dettagli, tutti noi abbiamo sentito parlare dei nostri illustri predecessori: Carlo Pisacane, Enrico Cosenz o dei professori che hanno insegnato alla Nunziatella come Francesco De Sanctis, non di meno abbiamo letto di altri Ex Allievi che a vario titolo hanno rivestito o rivestono incarichi pubblici o di rilievo.
Essi rappresentano un giusto punto di riferimento per tutti noi, un doveroso metro di paragone a cui tendere per migliorarci quotidianamente.
Vorrei però poter dare pari dignità a tutti coloro che non sono sui libri di testo delle scuole e che non vanno in televisione o sui giornali.
Vorrei poter dare spazio a quanti di NOI, tutti i giorni, nel loro piccolo, senza apparire ma con assoluta abnegazione e serietà, portano avanti il loro lavoro e la loro famiglia sempre nel rispetto, nella lealtà, nella coerenza, nell’ “essere più che sembrare” di nunziatellica memoria.
Questa sezione del sito, che ho chiamato “uno di NOI si racconta “, vorrei che ognuno di noi, senza falsa retorica, possa raccontare la propria vita: prima della Nunziatella, alla Nunziatella, dopo la Nunziatella fino ad oggi.
Questo perché, secondo me, la forza di Noi Ex Allievi è la diversità ma la comunione nella determinazione.
Credo che dare uno spaccato del nostro mondo, un pò più realistico del solo continuo parlare dei soliti noti o dei personaggio ormai consegnati alla storia, possa aiutare anche i giovani.
Inoltre credo che anche il semplice “dare un volto” ai molti indirizzi mail che ognuno di noi ha, ma che spesso non associa visivamente, possa aiutare ad unirci.
Non vi sono vincoli sul come partecipare: un racconto della propria vita nel suo complesso, o di un episodio specifico, oppure di un evento storico “vissuto” come Ex Allievo, o quanto altro possa essere per voi importante e che riteniate interessante. Con il vostro personale stile di scrivere: articolato, sintetico, gotico, futurista, ermetico, con foto o senza, e quanto più avete tanto meglio sarà.
Mi auguro che questa idea sia di vostro gradimento e che contribuiate a far vivere questa sezione del sito, come tutto il resto, con i vostri contributi personali.
 
Rosario Coraggio 1986/89

AMARCORD…LA DOCCIA – di Renato Benintendi 1973/76

Da: Renato Benintendi
Data:28/08/2015 11:20 (GMT+01:00)
Oggetto: AMARCORD…LA DOCCIA

​​​Poveri ma belli…LA DOCCIA

Lo giuro…se chiudo gli occhi mi sembra di sentire ancora come un suono di nacchere il ritmico incedere della pantofole testa di moro superscivolose, ufficialmente un attentato all’ integrita’ della colonna vertebrale e del fondo schiena. La doccia, questo evento piu’ coreografico che sanitario, avveniva con turnazione regolare due volte alla settimana e non ha mai sortito l’ effetto di migliorare le condizioni igieniche delle compagnie. Esso era una sorta di immersione nel Gange della scuola, una pratica essenica trasferita dalle rive del Giordano a quelle del Sebeto. Quando il neofita, salvatosi dalla regolare caduta nelle scalette piccole, svoltava a sinistra lungo le scale che menano agli alloggi ufficiali, comprendeva di aver varcato le colonne d’ Ercole. Dubbioso sull’ esito di quel percorso, si domandava se fosse diretto a Dachau o Auschwitz, ma la comparsa del famiglio delle docce e di Trudy, l’ addetta alla lavanderia, fugava ogni dubbio: si trattava senza dubbio della palude Stigia, visto che Caronte era li’ ad aspettarli e la sibilla li aveva guardati con occhi ambigui. Il comparto docce era una perfetta rappresentazione della cantieristica italiana formato Salerno-Reggio Calabria o ospedale del profondo sud mai terminato. Il novizio, ormai votato al sacrifico estremo, si denudava senza esitare, ignorando che a dispetto della stagione invernale e della assoluta atarassia di Caronte, l’ acqua sarebbe stata sommninistrata solo dopo mezz’ora, previo annuncio in un incomprensiobile vernacolo da parte del famiglio-termostato. In quell’ occasione molti allievi decisero che si serebbero iscritti a ingegneria idraulica, alllo scopo di regolarizzare la temperature delle docce della Scuola, che oscillarono con andamento irregolare per anni tra il punto triplo (circa quattro gradi centigradi sullo zerro) e il punto di ebollizione normale. Nessun sistema termostatico infatti presiedeva alla sua regolarizzazione: il sistema di controllo era quello originariamente concepito dal Parisi nel 1787. Il famiglio-idraulico chiedeva con voce tenorale se la temperatura fosse adeguata e interpretava in maniera originale le urla dalla savana che gli pervenivano dalla compagnia in abluzione, la quale arricchiva il responso tecnico con coloriti giudizi a carico della mamma. Il famiglio infine comprendeva la recensione resa dagli allievi a carico della genitrice e procedeva con feroci vendette termostatiche. Quella consuetudine suggeri’ agli allievi in immersione la possibilita’ di vendicarsi del compagno inviso o semplicemente vessato, identificato con il termine grammaticale “O’ sugge’”, fornendo al famiglio-termostato indicazioni errate sulla temperatura della acqua. Terminata questa singolare pratica idraulica, i pochi sopravvissuti ri-indossavano la SUDATISSIMA tuta ginnica da cui si liberavano colonie di batteri che popolavano immediatamente il corpo dell’ allievo. Questi non si poneva considerazioni di tipo microbiologico, intento com’era a non scivolare nel difficile hula-op sulle pantofole bagnate. Uno sguardo piu’ in la’ verso il Chiatamone gli rivelava che, oltre i finestroni delle docce, percorrendo le scale, un giorno avrebbe potuto fuggire. Nasceva in lui la suggestione dello squaglio che avrebbe concepito durante le future frequentazioni delle rive del Gange di Pizzofalcone. (Nella foto i lavabi della Scuola – 1913)

AMARCORD…LA DOCCIA

 

 

Ipse scripsit o…Della grafomania di Pizzofalcone – Renato Benintendi 1973/76

Da: Renato Benintendi
Data:08/08/2015 11:05 (GMT+01:00)
Oggetto: Ipse scripsit o…Della grafomania di Pizzofalcone

Ipse scripsit o…Della grafomania di Pizzofalcone

Non era come firmare il Register of Appreciation di un hotel, o la Comment Page di un museo…La firma veniva incisa con rara e frettolosa perizia su steli di marmo in chiesa, volute di scale a chiocciole scoperte all’ interno delle mura secolari, banchetti delle aule, cornicioni, davanzali di balconi e finestre, ringhiere…insomma su ogni elemento strutturale che ne consentisse la trascrizione…Nessuno o quasi ha resistito alla tentazione di lasciare sulla viva pietra della Scuola il codice del proprio nome, perche’ in essa rimanesse scolpito per sempre…In chiesa erano e si spera siano ancora impresse le firme di Carlo Pisacane e di Tomasi di Lampedusa (cugino)…i quali rinverdirono, alla maniera delle Confraternite Scalpelline dell’ anno mille, i fasti della calligrafia dell’ epoca perche’ non si perdesse il senso del loro passaggio…Punizioni, stati di addebito e graffitiche cancellazioni ordinate dal Comando Scuola non hanno mai fermato questi che forse sono stati i piu’ efficaci atti silenziosi e impalpabili di quelli che ci hanno preceduto, che in tal modo hanno voluto dirci a distanza di decenni: “C’ero anch’io, non dimenticarmi!” Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem!

 

L’ Allievo di Mensa – Renato Benintendi 1973/76

Da: Renato Benintendi

Data:09/08/2015 20:30 (GMT+01:00)

L’ Allievo di Mensa

Ci fu un tempo in cui l’ HACCP, il Codex Alimentarius, avvertenze del tipo “da consumarsi preferibilmente entro…”, la ISO 9000 e ammenicoli simili non avevano fatto ancora la loro comparsa nei meandri delle cucine della Scuola. Il garante di questo mondo ancora non salvaguardato dalle norme a venire era un personaggio senza qualita’ a cui tuttavia toccavano, per un solo giorno, momenti di splendore che avrebbe ricordato per tutta la vita: l’ Allievo di Mensa. Questi era un cadetto del secondo anno, che, strappato al proprio destino di biologica indefinitezza, bruco strisciante in viaggio verso l’ agognata foggia di divina farfalla, viveva l’unico momento di gloria del piatto anno da cappella. L’ eletto, informato il giorno prima della meravigliosa circostanza avuta in sorte, veniva, come si faceva con i cavalieri in odore di investitura, condotto lungo la iniziatica scala che mena al refettorio allievi. Qui giunto, quasi avessero improvvisamente riconosciuto i quarti di nobilta’ mai rilevati in precedenza, l’ ufficiale di mensa, il capo cuoco ed il plotone dei cucinieri lo ricevevano come si fa con un capo di stato. L’ allievo di mensa dubitava di aver realmente consumato in quel medesimo posto i precedenti pasti, considerati gli onori che solo in quel giorno la truppa del catering gli tributava. Sollevato da tutte le incombenze militari, sin dalla prima adunata mattutina, veniva reso edotto del fatto che nell’ antico istituto venivano segretamente serbate leccornie e delizie inimmaginabili, tali da rendere ridicoli futuri slogan del tipo “Dove c’ e’ Barilla c’ e’ casa”. Coccolato, corteggiato e conteso nella fucina di Lucullo, giungeva a mezzogiorno satollo come un suino prossimo al sacrifico estremo. Ardevano per lui, su braci grandi come are omeriche, bistecche mai comparse nella turnazione dei tavoli di mensa, dove improbabili polimeri dall’ apparenza bovina mettevano a dura prova le mandibole degli allievi. Le tasche gli venivano riempite di dolciumi e frutti facenti anch’ essi parte di un altro campionario. Il fortunato, ormai convinto della propria appartenenza ad una schiera divina, accoglieva le compagnie desinanti fermo in prossimita’ delle scale col sorriso beffardo di chi ha ormai piena conoscenza dei sacri misteri. Cosi’ fino al tramonto, quando a guisa di una Cenerentola in uniforme, l’incantesimo cessava e la farfalla ritornava al suo stato di bruco, chiedendosi se le immagini e gli umori ancora vivi nella mente non fossero l’ effetto di allucinazioni da razione K dell’ ultima giornata tattica. E mentre affacciato sull’ irripetibile golfo di Napoli, meditava sulle stranezze evoluzionistiche della Nunziatella, non si avvedeva del fatto che strani personaggi provenienti dalle cucine si muovevano furtive nel Cortile Grande, rotolando verso le auto, a mo’ di ruote primordiali, gigantesche forme di parmigiano e brandendo conoidi di prosciutto crudo nella sera di Pizzofalcone.

Allievo di Mensa

 

Raffaele Caramazza – di Renato Benintendi 1973/76

Da: Renato Benintend
Inviato: giovedì 14 maggio 2015 14.39
A: Rosario Coraggio
Oggetto: Con foto in allegato Ciao Rosario

 Ricordando Raffaele Caramazza (ex all 19XX-19YY)…Con orgoglio e rimpianto!

1977. Primo anno di ingegneria chimica…Quella mattina mi avevano detto che il Prof. Raffaele Caramazza, titolare della cattedra di chimica generale, non ci sarebbe stato. Un collega del secondo anno mostrava pieno di orgoglio il suo 21/30, e cio’ era stato sufficiente per terrorizzare noi del primo. Quella mattina solo gli assistenti (come si diceva allora)…Invece, smilzo e autorevole nell’ aspetto, Caramazza comparve sulla porta dell’ aula, cio’ che basto’ a fare avere un sussulto alle mie coronarie. Prese posto, guardo’ l’ uditorio che aveva guadagnato opportunamente I posti in fondo all’ aula, quasi una difesa estrema in attesa del verdetto finale. Caramazza sbotto’:”Non ho nessuna lista di precedenza. Chi vuole cominciare?” Alzai la mano, deciso a farla finita subito. La sua interrogazione duro’ 45 minuti e fu perfetta nelle domande e nelle risposte. Mi guardo’ assorto e poi concluse:”Si segga li’, continua con l’ assistente” Quest’ ultimo mi presento’ una reazione redox che sembrava essere stata tradotta in quell’ aula direttamente dalla stele di Rosetta. Un po’ di incertezza e completai correttamente. Raffaele Caramazza e l’ assistente si consultarono per qualche minuto, infine il professore mi disse:” Senta, meriterebbe 29/30, ma le do’ 30/30 perche’ c’e qualcosa in lei che mi dice che non mi fara’ pentire di questa mia decisione.” Lo guardai come si guarda il sole da un tempio greco, lo ringraziai e uscii dall’ aula camminando ad un metro da terra, indeciso sul nome degli dei da assumere.
Passarono circa dieci anni, incontrai il mio anziano Pippo Giannella (1971-1975). Seppi da lui che Raffaele Caramazza era un ex allievo della Nunziatella e che gli aveva goliardicamente detto che non gli avrebbe fatto sconti, ma che anzi da lui avrebbe preteso di piu’.
Un lampo mi attraverso’ la mente, unitamente ad un rimpianto. Il rimpianto di non esserci identificati come ex allievi, il lampo fugace di un pensiero stupendo e impossibile: in qualche modo il vecchio professore aveva sentito dentro di se’ che aveva di fronte a lui un suo piu’ giovane compagno della piu’ prestigiosa scuola d’ Italia. Di questo porto dentro di me un orgoglio assoluto e inscalfibile.